MARCO COLOMBO BOLLA: “IL TEATRO IN AZIENDA: INNOVAZIONE PER INVESTIRE SULLE PERSONE”
L’attore e formatore che cura la direzione organizzativa per Campo Teatrale, ha realizzato con Sorgenia il progetto “L’energia che mi muove”, rivolto ai team leader del contact center: “Grazie all’esperienza artistica lavoriamo sulle soft skill dei partecipanti”
“Organizzare un progetto come ‘L’energia che mi muove’, nato dalla collaborazione con Sorgenia, non ha significato calare in una realtà aziendale un progetto finalizzato alla creazione di uno spettacolo teatrale tout court. Abbiamo scelto di realizzare un percorso articolato, avviato da remoto e culminato in un grande evento in presenza. Abbiamo dato vita ad un’esperienza multidisciplinare che ha unito teatro e scrittura creativa. Abbiamo chiesto aiuto al mondo dell’arte per individuare strumenti che potessero sviluppare le soft skill dei partecipanti”. A spiegare in questa intervista il senso del progetto, proposto a circa 40 dipendenti dei contact center che lavorano con Sorgenia, è Marco Colombo Bolla, attore e formatore, che a Campo Teatrale cura la direzione organizzativa ed è referente per i progetti di formazione teatrale per le aziende.
Marco, come nasce l’esperienza di Campo Teatrale?
Campo Teatrale è nata come scuola di recitazione, ma nel tempo si è trasformata in molto altro. Io ho unito le attività di attore e di formatore fin dal mio percorso accademico, laureandomi in economia per le arti, la cultura e la comunicazione, con una tesi sull’uso del teatro nelle aziende come metodologia per lavorare con le persone. Nella nostra filosofia l’entrare in contatto con un’azienda non si basa sul calare in quella realtà un progetto di teatro tout court, ma sul lavorare a un’esperienza che permetta di creare una sorta di ping-pong tra la dimensione artistica e quella del quotidiano: chi partecipa a questi percorsi formativi si diverte, si mette in gioco, scopre il potenziale dei propri strumenti espressivi e ha modo di sviluppare le proprie soft skill. In sostanza, si tratta per molti di vivere un’esperienza nuova, che consente - una volta che si arriva a considerarla a posteriori - di fare luce su alcuni aspetti legati alla vita professionale delle persone, o a ciò che ad esempio accade nelle relazioni con i colleghi e i clienti.
Quali strumenti usate per raggiungere questi risultati?
Quando proponiamo un’esperienza di formazione teatrale cerchiamo di attingere agli esercizi del training dell’attore, scegliendo volta per volta quelli che permettono di lavorare meglio sull’ascolto e la sintonia tra le persone e all’interno dei gruppi, utilizzando sempre la forma dei giochi teatrali. Questo perché l’approccio ludico è quello che consente di divertirsi, di lasciarsi andare, di scoprirsi nuovi e di superare le resistenze più grandi. Ognuno è portato a “tuffarsi” nell’esperienza, perché nel gioco non entra in campo la dinamica del giudizio di sé e degli altri. Si tratta quindi di esperienze pratiche e fisiche, come - giusto per fare qualche esempio - il provare a comunicare guardandosi negli occhi senza dirsi niente, per imparare ad assaporare le emozioni di questo tipo di ascolto.
A cosa porta un’esperienza di questo genere?
Consente di avere a disposizione un punto di vista diverso e per molti nuovo: spesso siamo abitati a saturare i silenzi parlando più del necessario, evitando gli sguardi delle altre persone, o gesticolando molto. Ma attraverso un’esperienza “estrema” e semplice come guardare un collega occhi negli occhi senza poter fare altro, in quel momento l’ascolto e l’empatia vengono portati ad aprirsi, a schiudersi. Questo aiuta ognuno a pensare a quanto, nella vita di ogni giorno, si è preoccupati delle proprie prestazioni più che della comunicazione con gli altri, e a disinnescare il pregiudizio che la cosa più importane sia “cosa dire”. Il primo passo, infatti, è quello di concentrarsi sull’altro, di ascoltarlo, di essere permeabili alla relazione.
Quali altri strumenti avete utilizzato?
Un altro esempio potrebbe essere quello di prendersi per mano e lasciare che siano le mani a dialogare, chiudendo gli occhi. L’obiettivo è capire cosa mi racconta la tua mano di te, senza parole o sguardi, ma soltanto al tatto. È un lavoro “a togliere”, un’esperienza di natura molto fisica, che aiuta a riattivare una dimensione che la vita di tutti i giorni, nella sua routine, spesso porta a “congelare”. Poi abbiamo le attività pensate per allenare l’attitudine a reagire agli imprevisti: questo succede quando chiediamo ai partecipanti di raccontare una breve storia che devono modellare a seconda delle imbeccate che ricevono da un regista, sperimentando mood differenti per porgere un testo: arrabbiato, intimidito, come se fossi un cantante di musica rock… Lo strumento dell’improvvisazione teatrale è essenziale in queste attività, perché allena la creatività e porta a sperimentare molte possibilità nuove, rispetto a quelle che pratichiamo nella vita di tutti i giorni: si impara così a muoversi tra diversi stili e stati d’animo. È un modo per procedere “di pancia”, provando a reagire d’istinto alle sollecitazioni che vengono dall’esterno.
Quali sono le peculiarità del percorso realizzato per Sorgenia?
È stato un progetto assolutamente nuovo, realizzato e co-progettato con Sorgenia. Abbiamo pensato a una prima fase di lavoro a distanza, dal momento che era rivolto a persone che si trovavano in luoghi diversi su tutto il territorio nazionale e non sarebbe stato semplice farle spostare spesso. Abbiamo quindi iniziato con una prima fase focalizzata sulla scrittura creativa, coordinata da un drammaturgo che ha stimolato i piccoli gruppi in cui erano suddivisi i partecipanti e ha raccolto le loro storie. Partendo ad esempio dai tre aggettivi per descrivere il proprio mondo, per arrivare a piccoli testi di scrittura personale che raccontavano quale fosse, per ognuno, l’energia che muove la propria vita. I partecipanti hanno così generato micro-frammenti di testo che poi sono stati inseriti in una cornice funzionale, in un mondo immaginario in cui le fonti di energia non siano quelle tradizionali ma, ad esempio, gli affetti, i ricordi o l’armonia.
Come siete arrivati a mettere in scena una performance teatrale?
Tutti sono stati generosissimi di spunti, che noi abbiamo ripreso e abbiamo fatto ritrovare loro nella giornata in presenza che si è svolta il 23 febbraio proprio negli spazi di Campo Teatrale. In quell’occasione ognuno è stato chiamato a raccontare ancora il proprio mondo a persone nuove, che non facevano parte dei gruppi di lavoro originari. Quello che ha molto stupito i partecipanti è che il drammaturgo aveva rielaborato da tutti i materiali raccolti un testo che è stato l’ossatura della messa in scena su cui hanno lavorato nel corso della giornata. In quest’occasione gli attori professionisti davano vita alle parole contenute in quel testo, mentre i partecipanti al progetto sono stati impegnati a creare un contrappunto fisico per quelle parole incarnando azioni, gestualità, lavoro improvvisativo.
Qual è stato il feedback dei partecipanti verso questa esperienza?
Per capirlo a fondo abbiamo realizzato una survey, e i feedback sono stati eccellenti, con molti commenti pieni di emozione. Con “L’energia che mi muove” abbiamo avuto riscontri meravigliosi. Grazie alla leggerezza del gioco, infatti, si arriva gradualmente a esperienze più importanti o sfidanti, al mettersi in gioco. Alla fine del percorso, spesso, ci sentiamo dire dalle persone che si sentono di essere state dissetate da una sete che non sapevano di avere.
Anche il teatro, quindi, può essere considerato con l’ottica dell’innovazione?
Pensare al teatro come a un’arte polverosa o poco innovativa è un pregiudizio. La grande forza del teatro sta certamente in qualcosa che lo connota da sempre: permette alle persone di lavorare sul “qui e ora”, in presenza, dal vivo, nel corpo a corpo. Questa è la chiave d’accesso per entrare in contatto con le persone di un’azienda, guidandole in una sperimentazione che le spinge al di fuori dei soliti schemi. Attraverso il teatro andiamo a ripescare qualcosa di arcaico e primitivo della persona, ancor prima che della comunità: la dimensione fisica e istintiva. Lo strumento è potente. Lo è da sempre. L’innovazione sta nel come si sceglie di utilizzarlo. L’importante, in queste esperienze, è sganciarsi dalla tentazione di confezionare un ottimo spettacolo. Il vero obiettivo è il percorso per approdare alla messinscena. Non si devono dunque “dirigere” le persone, come fossero burattini nelle mani di un regista. Si deve piuttosto offrire a tutti l’opportunità di partecipare, di interagire, di sentirsi valorizzati nella propria unicità, per le proprie caratteristiche speciali, facendo emergere le potenzialità di ognuno nel dar vita ad una creazione collettiva.