Gender Digital Gap: l’associazione che incita le donne a non aver paura delle Stem

Scritto da Ettore Benigni
Giornalista

La presidente dell’associazione Donne 4.0: “Il motto è quello delle tre “c”: competenza, cuore e coraggio”

Il primo seme dell’associazione Donne 4.0 è stato gettato nel 2018, quando la fondatrice, Darya Majidi, laureata in Scienze dell’informazione, scrive un libro che si intitola proprio “Donne 4.0” e che diventa velocemente un caso editoriale, oltre ad attirare l’attenzione di tanti addetti ai lavori. “Il mio intento era di spiegare perché nei ruoli chiave di industria 4.0 non ci sono donne – sottolinea durante l’intervista – e questo è stato il passo che da imprenditrice del digitale e da esperta di digital transformation, tecnologie abilitanti e intelligenza artificiale mi ha portato a diventare anche un’attivista del gender digital gap”. 

Di cosa parliamo?

Come è nata l’idea di scrivere “Donne 4.0”?

Partirei intanto dai dati di scenario: siamo in una situazione in cui in Italia lavora il 50% delle donne, a fronte di una media europea di poco superiore al 62% e a medie più alte in alcuni Paesi come la Germania, con il suo 70%. Il quadro è ancora più chiaro se pensiamo che soltanto il 15% della forza lavoro dell’Ict, nel nostro Paese, è rappresentata da donne. Con il mio libro ho voluto mettere in evidenza il fatto che, per il mio tipo di mestiere, ero sempre l’unica donna nelle riunioni di alto livello. Il mio obiettivo era di incitare le donne e le ragazze a credere in sé stesse e a non aver paura delle materie Stem. Coniando un motto caratterizzato da tre “c”: competenza, cuore e coraggio. Ho pubblicato il libro attraverso Amazon, e nel giro di poco tempo è diventato virale: hanno iniziato a contattarmi lettori e lettrici da tutta Italia, alcuni dei quali mi hanno chiesto di creare un’associazione per valorizzare il movimento che si stava creando.

Quando è nata l’associazione Donne 4.0?

Esiste ormai da un anno, attorno a un manifesto che si basa su quattro pilastri principali. Il primo è quello della rappresentanza: vogliamo promuovere la presenza delle donne in tutti i tavoli dove si decide e dove si pianificano gli investimenti. Il secondo pillar è la formazione, quindi l’impegno a lavorare sul concetto che non si deve avere timore delle tecnologie, dalla scuola primaria fino al liceo e all’università. Il terzo è quello di lavoro e leadership: vogliamo fare in modo che si riesca finalmente a superare la logica dello “scalino rotto”, quello delle donne che sono costrette a lasciare il lavoro per andare in maternità, mentre i loro colleghi uomini proseguono nel loro percorso di carriera senza interruzioni. Vogliamo che questo momento di fragilità non sia una spada di Damocle sulla testa delle donne, ma venga considerato come una questione che riguarda tutta la società. Per questo proponiamo, ad esempio, asili nido gratuiti o il congedo parentale per il padre che equivalga a quello della mamma. L’ultimo pilastro è quello dell’imprenditoria femminile: vogliamo essere attivi nel supportare la nascita di aziende tech femminili. Questo perché soltanto il 12% delle startup, oggi, è femminile. Attorno a questo progetto ci siamo riunite in 24 socie fondatrici, è oggi siamo circa 100, rappresentate in tutte le Regioni italiane. In un anno siamo cresciute e abbiamo dato vita a 14 commissioni che lavorano sui 12 punti del nostro manifesto.

Quali sono le attività più importanti che siete riuscite a realizzare in questo primo anno di vita?

Uno dei progetti che considero più significativi è l’osservatorio sul PNRR: abbiamo dato vita a un progetto per studiare come i soldi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza vengano utilizzati in ottica di chiusura del gender gap, che è uno degli obiettivi centrali tra quelli fissati dall’Unione Europea per concedere i fondi agli Stati membri. Quello che emerge è che in realtà i soldi dedicati alle donne sono soltanto l’1,6% del totale di oltre 235 miliardi di euro destinati all’Italia, mentre l’80% è destinato a progetti del tutto neutri rispetto al genere. Sembra mancare la consapevolezza che ogni euro può avere un impatto positivo o negativo sulla chiusura del gender gap, e a dimostrazione di questo c’è il fatto che oggi mancano completamente dati su temi come la medicina di genere, l’economia di genere o la politica di genere. I risultati del primo anno di studio li presenteremo l’8 marzo 2023, e sarà una sonora tirata d’orecchie.
Siamo poi particolarmente orgogliosi di un’altra iniziativa, AIxGIRLS, grazie alla quale, con il sostegno di Fineco Asset Management, abbiamo coinvolto 20 ragazze della quarta classe delle superiori provenienti da tutta Italia dando vita al primo summer camp estivo dedicato all’apprendimento di tecnologie collegate all’intelligenza artificiale. Sullo stesso modello, questa volta con il sostegno di Agos, abbiamo creato StartupHER, progetto grazie al quale ci occupiamo del sostegno a quattro aziende femminili dell’online, dall’ideazione del modello di business fino alla creazione dell’impresa. Oltre a questo, infine, abbiamo attivato il progetto Talenta con alcune scuole superiori: lavoriamo con i docenti e con le ragazze sulle competenze digitali e i talenti che saranno più utili per il futuro.

Può spiegarci qual è dal suo punto di vista il valore aggiunto di Donne 4.0?

Ci differenziamo dal resto delle attività in questo campo perché non siamo l’associazione delle ingegnere o delle informatiche, e non siamo nemmeno soltanto donne, ma ci affiancano anche uomini che condividono la nostra battaglia. I nostri soci vengono sia dal mondo tech sia da quello umanistico, e tutti condividono il mindset digitale. L’essere cioè convinti che le tecnologie debbano essere a disposizione di tutti e che contribuiscano a dare libertà. Io sono per metà iraniana, e assisto con grande dispiacere a quello che sta avvenendo in Iran. Ma anche di fronte a una situazione così drammatica di diritti negati alle donne le tecnologie stanno dimostrando la propria utilità come strumento di denuncia, di trasparenza, di networking e di connessione.

Dopo Donne 4.0 ha scritto anche un altro libro…

Sì, si intitola Sorellanza digitale, vado ad analizzare voce per voce i famosi diritti dell’umanità per verificare se nel mondo vengono rispettati o no a livello femminile. Ad esempio può essere utile sottolineare che nessun Paese al mondo ha chiuso finora il divario di genere, e che l’Italia, che siede nel G7, nel report del World Economic Forum Italia dedicato al gender gap su scala globale è soltanto 63esima. Rispetto ai quattro indicatori di salute, formazione, lavoro e rappresentanza ha gravi problemi per gli ultimi due. Se le stime parlano di 300 anni per arrivare alla chiusura del gender gap, la mia convinzione è che le tecnologie possono essere un volano di accelerazione di questa dinamica.

A tutto questo si aggiunge anche il gender dream gap, che inizia da bambine.

C’è molto da lavorare con insegnanti e famiglie per superare gli stereotipi. Finché le bambine saranno indotte a pensare che quelle più brave sono destinate al liceo classico e alla formazione umanistica avremo un grave problema. Che non possano trarre piacere o soddisfazione dalle materie scientifiche è una convinzione che viene inculcata loro anche inconsapevolmente dalla scuola e dalla famiglia, attraverso pregiudizi e preconcetti ormai superati. Se si dà alle ragazze la prospettiva di cercarsi un posto fisso o un lavoretto si massacrano i loro sogni e le loro ambizioni: il coraggio si deve coltivare in tutti, è come se fosse un muscolo. Tutti noi siamo circondati da pregiudizi e imprinting che ci condizionano anche da genitori. È il cosiddetto unconscious bias, che porta a non trovare niente di strano in un pubblicità di una donna nuda su una moto, ma a trovare divertente l’immagine di un uomo nudo nello stesso contesto: è un test che faccio ai miei studenti e riesce sempre. Il problema è che se non staremo attenti ai dati e all’etica dei dati rischieremo in futuro di creare un twin digitale che diventerà un megafono dei pregiudizi che già viviamo. Per questo sono convinta che le donne debbano essere nel metaverso: se fosse sviluppato unicamente da uomini presenterebbe tracce importanti di bias inconscio, come ho tentato di spiegare in un TedX che ho tenuto sull’argomento.

Come accoglie la nomina di un presidente del consiglio donna, Giorgia Meloni, in Italia?

Vedere una donna premiere è motivo di soddisfazione, indipendentemente dalle ideologie politiche. Noi siamo una squadra che tifa per le donne. D’altro canto sono sconvolta da ciò che accade nel mondo in questo periodo, e sto iniziando a sviluppare un brutto pensiero che – l’ho scoperto recentemente – prima di me era stato formalizzato anche da Gandhi, e di cui provi una parafrasi: la sopportazione delle donne è statisticamente maggiore rispetto ai disagi che subiscono, mentre la malvagità degli uomini è maggiore nel compiere gesti di ostilità o di aggressione. Questo vuol dire, dal mio punto di vista, che con una presenza femminile maggiore tra i policy maker queste sensibilità potrebbero essere finalmente valorizzate, per il bene comune, senza bisogno di pink washing.

Come è cambiata negli ultimi 5 anni la sensibilità collettiva attorno ai temi del gender gap?

Direi molto, e a dimostrarlo può bastare il fatto che mentre ai tempi in cui ho scritto Donne 4.0 amici e colleghi mi prendevano in giro, ora se ne parla all’interno delle aziende. Sicuramente diverse grandi società ci stanno credendo e si stanno muovendo nella direzione della chiusura del divario di genere. Molte tra quelle con cui lavoro hanno iniziato a investire nella formazione e nell’empowerment femminile. Non vedo ancora la stessa dinamica nelle aziende più piccole, ma potrà avvenire man mano che si proseguirà con il passaggio generazionale. E poi c’è più sensibilità in generale, a livello pubblico, con eventi, manifestazioni: prima era un tema demodé, oggi è diventato quasi sexy!